Santuario della Beata Vergine detta dei Miracoli nel borgo di Cantù
Storia
Carlo Annoni, Parroco di S. Paolo dall’anno 1830 al ’53 scrive, in un’opera, del Santuario di Cantù. Nella metà del sedicesimo secolo, oltre ai mali che affliggevano i popoli dell’Italia settentrionale per le guerre, ci furono una serie di stagioni inclementi che desolarono le campagne canturine. Le tempeste furono frequenti e devastanti, specialmente nelle annate 1542 e 1543, nella quali, mancando il raccolto, la gente moriva di miseria e di fame. I Canturini iniziarono così ad invocare l’assistenza di Maria Vergine, della quale un’immagine (detta dal popolo la Madonna Bella) si venerava fuori dall’antica porta in via Campo rotondo dipinta sopra un murello. Nel mese di maggio 1543 la gente sperava nel nuovo raccolto, sebbene promettesse poco, perché si era già consumato il poco grano sopravvissuto dalle continue tempeste dell’anno prima. Angiolina, una ragazza della Cassina Novello di Cantù, non sopportando più la l’aspetto languido dei genitori e del resto dell’affamata famiglia, uscì alla campagna, e arrivata davanti all’immagine di Maria Bella, la pregò per ricevere un po’ d’aiuto. Terminata la preghiera, le apparve, in mezzo alla campagna, una bellissima matrona vestita di bianco, che sembrava la invitasse ad avvicinarsi a Lei. Angiolina si avvicinò e sentì Maria dirle di ritornare dalla sua famiglia e avvisare i suoi genitori di andare a falciare la segale che era tutta matura. La Matrona scomparve. Angiolina guardò la campagna e visto che la segale era matura, corse a sua casa e raccontò quanto successo. La famiglia raccolse così tanto grano, in un periodo che non doveva esserci il frumento maturo, da poter vivere comodamente fino al successivo raccolto. Il strepitoso miracolo si diffuse all’intero paese, e da allora la Madonna Bella o dei Miracoli fu per sempre considerata dai Canturini come il Palladino della loro salvezza.
Un manoscritto di quei tempi ricorda altri miracoli avvenuti per intercessione di quell’Immagine.
Poco oltre il primo decennio dalla data indimenticabile, i borghigiani, riuscirono a concretare i loro voti erigendo una chiesa sopra il luogo del Miracolo.
Sotto stipulazione di Paolo Pietrasanta, Notaio di Cantù, il 13 luglio 1554, viene costituita una Confraternita di ventotto membri per il reggimento di un oratorio in forma di chiesa con il nome di Vergine Maria Bella dei Miracoli.
Nella parete sinistra del Santuario ci sono due piccole lapidi con delle iscrizioni.
La prima dice: Questa sacra dimore di cui fu posta la prima pietra per celebrare miracoli più chiari della luce, mentre viveva il preposto di Galliano Andrea Sola, dopo essere state elevate solenni suppliche, fu costruita e dedicata alla Madre di Dio nell’anno della nostra salvezza 1554 l’undici di maggio.
La data riferita alla prima lapide (11 maggio 1554) non coincide con quella della posa della prima pietra (6 settembre 1554). Può essere che la cerimonia della prima pietra sia avvenuta a costruzione iniziata.
Dalla seconda lapide si deduce che il progetto di costruire della chiesa fu approvato dall’Arcivescovo di Milano, Angelo Arcinboldo. Egli, durante la visita alla Sacra Immagine, ne aveva promosso il culto. Inoltre l’Arcivescovo non era in visita pastorale ma era stato richiamato sul posto dalle miracolose notizie.
Il complesso da costruire non era facile e per di più i mesi rigidi dell’anno imponevano pause ai lavori.
Nell’ottobre 1837, a causa dei cattivi modi e la troppa fretta nel costruire, crollò un pilastro e si dovette demolire la chiesa fino alla linea degli altari. Oggi perciò non si conosce la chiesa nella sua originale interezza.
Tre porte davano accesso alla chiesa dalla strada. Quattro finestre illuminavano la navata centrale e due la Cappella grande (presbiterio). Questa era affiancata da due cappelle rispettivamente in asse alle due navate minori. Un arco pari a quello che immetteva i fedeli dalla chiesa alla cappella grande dava accesso, sul fondo di questa, a una cappella minore rettangolare. Qui, distaccato dalla parete, si trovava il murellucchio, su cui appariva l’Immagine Sacra, inquadrata da una cornice dipinta e dorata e protetta da vetro a modo di icone. Ai suoi piedi si ergeva un altare di legno, munito di croce in rame dorato. La cappella aveva una finestra in vetri colorati con la rappresentazione della Assunta. L’ambiente doveva essere anche rivestito di affreschi. Una cancellata in legno lo separava dall’attuale presbiterio.
Gli immobili allora posseduti dal Santuario consistevano in una pezza di terra adiacente, che rendeva nove stari di frumento.
Tra i beni della chiesa c’erano inoltre dei terreni al Musso, affittati per 14 stari di miglio e un bosco che venne poi chiamato della Madonna.
La gestione del Santuario era alimentata anche dalle offerte dei fedeli (grano, olio di semi, pollame, uova e bozzoli).
Nel 1740 la dotazione dei paramenti era buona per una chiesa che non era parrocchiale. Vi figurano dodici pianete tra i quali uno in Veluto Morello con franza di Veluto d’oro e l’imagine della Assunta a ricamo e un altro con un ricamo simile.
Gli arredi in metallo della Chiesa non erano d’argento, ad eccezione di un baciletto per i orzoli e di una lampada.
Tra i reliquiari c’erano due cassette in ebano, argento e cristallo
Nel 1745 avviene un furto in sacrestia. Ignoti depredano dei ricami in oro alcuni paramenti. Nel 148 vengono rifatte le porte piccole della chiesa.
Nel 1828 si rinnova il pavimento delle navate laterali; nel 1831 il Comune apre il grande viale, che verrà allineato da platani.
Nel 1837 si intonacano i pilastri e sotto richiesta degli operai si tiene chiuso il Santuario per due settimane. Il 9 ottobre, sul lato destro della navata di mezzo, il terzo pilastro dall’ingresso si sfascia per una metà della sua altezza, trascinando nella rovina due zone delle volte adiacenti e una parte del tetto della navata di destra. Invece il tetto della navata maggiore resiste. Il resto dell’edificio non patì alcun danno e nemmeno peggiorarono le crepe già note. La causa è attribuita alla pessima struttura del pilastro. La causa generale invocata, però, è la difettosa originaria costruzione di tutto l’edificio. Si decise per l’abbattimento totale della parte lesionata.
Nell’agosto 1843 il Santuario vedeva compiuta la sua ricostruzione. La chiesa è imperniata su quattro, invece che sei, sostegni centrali, in forma di colonne, con base e capitello corinzio, rivestite di stucco lucido. La nuova struttura fu tenuta di proposito bassa il più possibile, diminuendo di molto l’altezza della navata centrale. Ampie lunette immettono molta luce nell’interno.
La balaustra dell’altare maggiore è in broccatello svizzero.
L’altare in marmo, oggi in opera, è del 1852 e sostituisce l’antico, che era in legno.
L’altare in marmo, oggi in opera, è del 1852 e sostituisce l’antico, che era in legno.
Il campanile ebbe un nuovo concerto, nel 1860, di tre campane con i titoli di Maria Assunta, San Rocco, Santa Teresa.
La facciata
Nei primi anni del 1900 si decise di ristrutturare anche la facciata, rimasta fino ad allora rustica; se ne occupò l'architetto Italo Zanolini di Como,che con questa sua opera cade in quello stile volgarmente definito Umbertino, di stampo Barocco.
Essa presenta un elevato numero di elementi decorativi creati in cemento Portland.
La parte inferiore è suddivisa in tre scomparti da lesene; il centrale più largo dei prossimi.
Una invenzione interessante è il vano sagomato e raggiato, che contiene la statua della Immacolata.
La Sacra Immagine
La Vergine, seduta in trono, appare dalle ginocchia in su con in grembo il Bambino, al quale offre il seno destro. Il trono in legno e rivestito da una ricca stoffa è di gusto gotico. Ai suoi lati, in alto, si affacciano due piccoli angeli; uno di essi intento a suonare il liuto.
L’affresco è di cm 86 di larghezza e di cm 91 di altezza. Non è facile dargli una data, poiché gli strati di ridipintura successiva ne hanno alterato la linea, i volumi e la veste cromatica. L’opera è di un artista modesto che poteva essere stato operoso prima della metà del quindicesimo secolo.
L’affresco è di cm 86 di larghezza e di cm 91 di altezza. Non è facile dargli una data, poiché gli strati di ridipintura successiva ne hanno alterato la linea, i volumi e la veste cromatica. L’opera è di un artista modesto che poteva essere stato operoso prima della metà del quindicesimo secolo.
L’immagine della Madonna Bella probabilmente si trovava sopra il rudere di un vera e propria chiesetta.
Le opere di pittura
L’opera di affrescare il Santuario fu affidata al pittore Giovanni Mauro della Rovere, detto il Fiammenghino.
Dai documenti dell’archivio plebano sappiamo che anche la volta maggiore fu affrescata e anche i pilastri originali erano decorati. Questi dipinti sono andati perduti nella demolizione avvenuta dopo la rovina del 1837.
Il Fiammenghino ha fornito le pareti del presbiterio di una veste cromatica, rutilante di tinte, in combinazioni sapienti. L’altare sembra avvolto da un manto prezioso che muta secondo il variare del giorno.
Le quattro pareti del presbiterio
Parete verso il coro
L’arcata ha un fregio dipinto con angeli che reggono i simboli della Passione. Sopra le due lesene, gli angeli mostrano invece i simboli delle Litanie Lauretane e risaltano sopra un finto mosaico a tessere d’oro. Lungo le lesene scendono a coppia rami di rose e di gigli legati da nastri cadenti. L’arco è decorato da una targa su cui si innalza lo Spirito Santo. Mentre fra il cornicione e l’arco è rappresentata l’Annunciazione di Maria Santissima.
Parete di sinistra
Raffigurate le figure dei profeti Michea e Giona. Sotto la ghiera dell’arco si apre una finta finestra (decorata a trompe l’oeil). Essa è affiancata da due figure di sibille sedute, si pensa siano la Tiburtina e l’Eritrea.
L’affresco illustra la visita dei Magi. Al centro si intravede la stalla in penombra. Sopra a due gradini, sono seduti Giuseppe e Maria con in grembo il Bambino. Un re offre il calice della mirra ed il bambino vi immerge le sue piccole mani. Si avvicinano anche gli altri due Magi, uno con il cofano dell’oro e il Re nero con quello dell’incenso. Nella scena troviamo anche altre figure come il nano giullare, cavalieri orientali, i paggi bianchi e more e poi cavalli, muli, cammelli, cani e un falco in pugno ad un valletto e due scimmie.
Parete di destra
Raffigurate le figure dei profeti Osea e Gioele. Le due sibille laterali si interpretano come la Delfica e la Persica.
L’affresco raffigura le nozze di Cana nel momento in cui Gesù, seduto all’estrema sinistra della tavola, ordina ad un servo di riempire d’acqua le coppe vuote.
L’affresco raffigura le nozze di Cana nel momento in cui Gesù, seduto all’estrema sinistra della tavola, ordina ad un servo di riempire d’acqua le coppe vuote.
Troviamo le pareti ornate di colonne toscane, nicchie e statue.
Siamo alla fine del banchetto e ce lo preannunciano i tre servi con piatti di formaggio, frutta e dolci. Lo sposo inquieto guarda lontano dov’è seduto Gesù e la sposa osserva l’inquietudine negli occhi dell’amato.
La cupola
Il porticato è diviso in otto scomparti,quattro dei quali costituiti da colonne ioniche che creano dei padiglioni sotto cui sono intronizzati i profeti Ezechiele, Davide,Geremia e Salomone, dall'aspetto e i movimenti solenni e imponenti e dalle vesti dai colori accessi e cangianti.
Altri due di questi scomparti presentano tre putti alati seduti che lanciano in aria rami di palma, rose e gigli.
Nei pennacchi vi sono targhe con figure allegoriche; al di sotto otto putti musicanti seduti due a due per ogni angolo del presbiterio.
Nelle pareti di destra e di sinistra ci sono due finestrelle anch'esse rappresentanti angioletti e nelle altre due pareti sono raffigurati i profeti Isaia e Mosè.
Anche il cornicione sottoposto ha il fregio ricco di puttini, che sembrano nuotare tra fiori e frutti.
La cupola – Il profeta Mosè
La cupola – Il profeta Isaia
Il quadro “Dell’incoronazione della Vergine”
La tela è attribuita a Camillo Procaccini. Essa è dedicata alla Vergine in ginocchio su nubi corpose illuminate dall’alto. Dio e Cristo la incoronano e sopra di lei lo Spirito Santo, innalzato, lacera le nubi e illumina il momento di gloria.
In basso, poste a sinistra e a destra sopra due piatti, le teste mozzate di Pietro e Paolo; vicino al primo sono rappresentate le somme chiavi (una d'argento e una d'oro) e vicino al secondo la spada simbolica. In mezzo alle due teste, in un’atmosfera di crepuscolo morente, si vede un paesaggio collinoso con alcuni edifici, che non si identificano essere di Cantù. Di notevole impatto è il contrasto che si crea tra l'atmosfera dorata che irradia la parte superiore del dipinto e quella tenue e crepuscolare nella parte inferiore.
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